martedì 26 novembre 2013

Mato Grosso - Parte Seconda: Fiumi, foreste e pianure

Racconto breve sull'origine del nome:
Volevano chiamarlo Mato, in origine. Solo Mato, che significa foresta. Poi qualcuno ha avuto la brillante idea di misurarlo. A metà neanche, stanchissimo, quel qualcuno si fermò e disse: facciamo così, diciamo che è grosso e chiudiamola qui. Il personaggio Novecento di Baricco avrebbe aggiunto anche "in culo le misure!" ma non potrei mai scrivere una volgarità simile sul mio blog.

La cosa interessante è che se gli Xavantes avessero mai pensato di misurare la loro regione, sarebbe veramente andata a finire così, perché usano i numeri solo fino al 10. Dal numero 11 in poi dicono "molti". Appena l'ho saputo mi sono venuti in mente Aldo, Giovanni e Giacomo quando fanno il vocabolario sardo. Geniali.

Giorno 2 - Sabato

Finita l'esperienza con gli indios, dopo pranzo, ci spostiamo dall'aldeia verso Novo Sao Joaquem, una cittadina a circa 90 Km di distanza. Viaggiamo con il solito pulmino, e con noi vengono anche tre ragazzi del villaggio.
Durante il viaggio vedo: un aquila, una piccola anconda, due bellissimi pappagalli e un armadillo.
Arrivati a destinazione visitiamo la chacara in cui l'Operazione Mato Grosso svolge attività di oratorio e di collegio con anche ragazzi Xavante. L'obiettivo è quello di preparare questi ragazzi al mondo che li sta assorbendo, senza però perdere la propria identità e le proprie tradizioni.
Oggi e domani è la festa dei ragazzi dell'oratorio, a cui partecipano circa 80 dei 120 totali. Ceniamo con loro, guardiamo lo spettacolo teatrale che hanno preparato, aiutiamo a lavare i piatti e poi torniamo verso le nostre stanza. Siamo in stanza con Tobia, un ragazzo di Vicenza di 26 anni che sta finendo il suo servizio di sei mesi, che ci racconta un po' come funzionano le cose da quelle parti.
Sempre per il sentirsi figo, scrivo queste righe sulla mia Moleskine mentre sono su un'amaca, sotto un portico, di sera e con la luna piena, con davanti a me il verde della foresta.
Dimenticavo: prima di cena ho visto un formichiere.

Giorno 3 - Domenica

La festa dell'oratorio procede, al mattino grandi giochi a squadre con premi finali, poi pranzo tutti insieme e saluti. I ragazzi vengono accompagnati a casa con gli scuolabus. Un gruppo di ragazzi abita piuttosto lontano, a circa 25 Km (ovviamente tutta strada sterrata), in un paesino che sorge vicino a un fiume abbastanza bello. Tobia e uno degli altri educatori ci chiedono se abbiamo voglia di andare anche noi, si potrebbe anche fare il bagno in fiume. Ovviamente andiamo.
Essendo il gruppo piccolo e tutti gli altri pulmini occupati si va con il pick-up. Tre posti davanti e gli altri nel cassone a prendere l'aria in faccia. Il viaggio dura una mezz'ora abbondante, ma è talmente divertente che il tempo vola. Per diverse volte saliamo e poi scendiamo, cambiando "valle", e ogni volta che si è nel punto più in alto si vede l'immensità del mondo. Spazi immensi, a perdita d'occhio. Provo a fare qualche foto, ma mi accorgo subito che non riuscirò a rendere l'idea di quanto ci si senta un granello di sabbia di fronte a quelle visioni.
Arrivati al paese lasciamo giù i ragazzi (alcuni ci raggiungeranno al fiume) e ci dirigiamo verso l'acqua. Prima, mentre parcheggiamo e salutiamo una famiglia, assaggiamo finalmente una Jaca, un frutto enorme, esternamente verde a puntini e ruvido. La gente cerca di non passare mai sotto un albero di Jaca, si dice che ricevere un frutto in testa non sia piacevole.
Mi informo riguardo al nome del fiume. "Rio das Mortes", il fiume delle morti. Chiedo perché si chiami così. Semplice, ci muore un sacco di gente.
Ma noi non avremo problemi, il nome si riferisce al periodo Gennaio/Febbraio, quando dopo mesi di piogge il fiume si ingrossa e crea correnti fortissime, molto pericolose. Noi ne conosceremo solo la versione mansueta del Rio.
Già pronto con il mio costume slip della Turbo nero con un teschio sulla chiappa destra, mi tuffo eroicamente nel Fiume delle Morti (apprezzabile la ricerca della completezza in questo nome, volevano chiarire che non si muore solo in un modo). Vivo, in barba alla nomenclatura iettatrice.
L'acqua è addirittura calda.
Al ritorno la famiglia che abbiamo salutato in precedenza ci offre una sostanziosa merenda, ci abbuffiamo e ringraziamo. L'accoglienza di queste persone è sempre esagerata.
Viaggio di ritorno ancora più bello che all'andata grazie al tramonto in atto.
Arriviamo a casa, birretta obbligatoria con Tobia, doccia e cena con i ragazzi Xavante, gli unici rimasti lì (per loro funziona come collegio), una ventina circa. Ragazzi davvero speciali, genuini, ancora capaci di divertirsi per le piccole cose, felici solo per il fatto di stare insieme. Ho provato a dirgli che tra qualche giorno in Italia esce la Play Station 4, ma chissà come mai non li ho visti molto scossi dalla notizia.
Me ne vado a letto distrutto, ma felicemente consapevole di aver vissuto una di quelle giornate indimenticabili.

Giorno 4 - Lunedì

Sveglia alle 4, primo viaggio in pullman di due ore su strada sterrata, al buio, in piedi perché i posti a sedere erano finiti, con l'aria condizionata sparata sulla cervicale. Altro pullman per le successive sette ore di viaggio con posto a sedere, credo di avere dormito almeno 6 ore e 58 minuti.
Questo giorno posso dimenticarlo senza problemi.

Fine

P.s.
Mentre scrivo questo post, Paolo mi chiama e mi chiede se ho il pc acceso e se gli posso passare delle foto che ho fatto i giorni scorsi. Gli rispondo di si, che ho già il pc acceso perché ci sto lavorando. E Corrado dall'altra stanza grida: "LAVORANDO!", come per dire "si certo, come no". Per me è bello sentirsi così apprezzato.




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