martedì 26 novembre 2013

Mato Grosso - Parte Seconda: Fiumi, foreste e pianure

Racconto breve sull'origine del nome:
Volevano chiamarlo Mato, in origine. Solo Mato, che significa foresta. Poi qualcuno ha avuto la brillante idea di misurarlo. A metà neanche, stanchissimo, quel qualcuno si fermò e disse: facciamo così, diciamo che è grosso e chiudiamola qui. Il personaggio Novecento di Baricco avrebbe aggiunto anche "in culo le misure!" ma non potrei mai scrivere una volgarità simile sul mio blog.

La cosa interessante è che se gli Xavantes avessero mai pensato di misurare la loro regione, sarebbe veramente andata a finire così, perché usano i numeri solo fino al 10. Dal numero 11 in poi dicono "molti". Appena l'ho saputo mi sono venuti in mente Aldo, Giovanni e Giacomo quando fanno il vocabolario sardo. Geniali.

Giorno 2 - Sabato

Finita l'esperienza con gli indios, dopo pranzo, ci spostiamo dall'aldeia verso Novo Sao Joaquem, una cittadina a circa 90 Km di distanza. Viaggiamo con il solito pulmino, e con noi vengono anche tre ragazzi del villaggio.
Durante il viaggio vedo: un aquila, una piccola anconda, due bellissimi pappagalli e un armadillo.
Arrivati a destinazione visitiamo la chacara in cui l'Operazione Mato Grosso svolge attività di oratorio e di collegio con anche ragazzi Xavante. L'obiettivo è quello di preparare questi ragazzi al mondo che li sta assorbendo, senza però perdere la propria identità e le proprie tradizioni.
Oggi e domani è la festa dei ragazzi dell'oratorio, a cui partecipano circa 80 dei 120 totali. Ceniamo con loro, guardiamo lo spettacolo teatrale che hanno preparato, aiutiamo a lavare i piatti e poi torniamo verso le nostre stanza. Siamo in stanza con Tobia, un ragazzo di Vicenza di 26 anni che sta finendo il suo servizio di sei mesi, che ci racconta un po' come funzionano le cose da quelle parti.
Sempre per il sentirsi figo, scrivo queste righe sulla mia Moleskine mentre sono su un'amaca, sotto un portico, di sera e con la luna piena, con davanti a me il verde della foresta.
Dimenticavo: prima di cena ho visto un formichiere.

Giorno 3 - Domenica

La festa dell'oratorio procede, al mattino grandi giochi a squadre con premi finali, poi pranzo tutti insieme e saluti. I ragazzi vengono accompagnati a casa con gli scuolabus. Un gruppo di ragazzi abita piuttosto lontano, a circa 25 Km (ovviamente tutta strada sterrata), in un paesino che sorge vicino a un fiume abbastanza bello. Tobia e uno degli altri educatori ci chiedono se abbiamo voglia di andare anche noi, si potrebbe anche fare il bagno in fiume. Ovviamente andiamo.
Essendo il gruppo piccolo e tutti gli altri pulmini occupati si va con il pick-up. Tre posti davanti e gli altri nel cassone a prendere l'aria in faccia. Il viaggio dura una mezz'ora abbondante, ma è talmente divertente che il tempo vola. Per diverse volte saliamo e poi scendiamo, cambiando "valle", e ogni volta che si è nel punto più in alto si vede l'immensità del mondo. Spazi immensi, a perdita d'occhio. Provo a fare qualche foto, ma mi accorgo subito che non riuscirò a rendere l'idea di quanto ci si senta un granello di sabbia di fronte a quelle visioni.
Arrivati al paese lasciamo giù i ragazzi (alcuni ci raggiungeranno al fiume) e ci dirigiamo verso l'acqua. Prima, mentre parcheggiamo e salutiamo una famiglia, assaggiamo finalmente una Jaca, un frutto enorme, esternamente verde a puntini e ruvido. La gente cerca di non passare mai sotto un albero di Jaca, si dice che ricevere un frutto in testa non sia piacevole.
Mi informo riguardo al nome del fiume. "Rio das Mortes", il fiume delle morti. Chiedo perché si chiami così. Semplice, ci muore un sacco di gente.
Ma noi non avremo problemi, il nome si riferisce al periodo Gennaio/Febbraio, quando dopo mesi di piogge il fiume si ingrossa e crea correnti fortissime, molto pericolose. Noi ne conosceremo solo la versione mansueta del Rio.
Già pronto con il mio costume slip della Turbo nero con un teschio sulla chiappa destra, mi tuffo eroicamente nel Fiume delle Morti (apprezzabile la ricerca della completezza in questo nome, volevano chiarire che non si muore solo in un modo). Vivo, in barba alla nomenclatura iettatrice.
L'acqua è addirittura calda.
Al ritorno la famiglia che abbiamo salutato in precedenza ci offre una sostanziosa merenda, ci abbuffiamo e ringraziamo. L'accoglienza di queste persone è sempre esagerata.
Viaggio di ritorno ancora più bello che all'andata grazie al tramonto in atto.
Arriviamo a casa, birretta obbligatoria con Tobia, doccia e cena con i ragazzi Xavante, gli unici rimasti lì (per loro funziona come collegio), una ventina circa. Ragazzi davvero speciali, genuini, ancora capaci di divertirsi per le piccole cose, felici solo per il fatto di stare insieme. Ho provato a dirgli che tra qualche giorno in Italia esce la Play Station 4, ma chissà come mai non li ho visti molto scossi dalla notizia.
Me ne vado a letto distrutto, ma felicemente consapevole di aver vissuto una di quelle giornate indimenticabili.

Giorno 4 - Lunedì

Sveglia alle 4, primo viaggio in pullman di due ore su strada sterrata, al buio, in piedi perché i posti a sedere erano finiti, con l'aria condizionata sparata sulla cervicale. Altro pullman per le successive sette ore di viaggio con posto a sedere, credo di avere dormito almeno 6 ore e 58 minuti.
Questo giorno posso dimenticarlo senza problemi.

Fine

P.s.
Mentre scrivo questo post, Paolo mi chiama e mi chiede se ho il pc acceso e se gli posso passare delle foto che ho fatto i giorni scorsi. Gli rispondo di si, che ho già il pc acceso perché ci sto lavorando. E Corrado dall'altra stanza grida: "LAVORANDO!", come per dire "si certo, come no". Per me è bello sentirsi così apprezzato.




venerdì 22 novembre 2013

Mato Grosso - Parte Prima: Anaconde e Moleskine

Giovedì sera io, Fabio e la Silvia siamo partiti da Goiania per andare in Mato Grosso e siamo tornati lunedì sera. Durante questi giorni, per la prima volta, ho tenuto una specie di diario. La realtà in cui ero immerso era talmente particolare da invogliarmi a scrivere fatti, luoghi, persone e sensazioni. Questa cosa non sarebbe stata possibile senza il Ross, che pochi giorni prima che io partissi mi ha salutato regalandomi inoltre una leggendaria Moleskine. Beh, ci sono poche cose che ti fanno sentire veramente figo come scrivere sulla tua Molskine al chiaro di luna in un villaggio Xavante.
Grazie Ross.

Giorno 1 - Venerdì

In Brasile praticamente non esistono treni. Sembra che l'industria automobilistica (Wolksvagen in testa) abbia lavorato parecchio affinché ciò accadesse. E così per andare in Mato Grosso si prende il pulman. Viaggio lungo, circa 12 h, ma comodo. Partenza alle 22.40 di ieri sera e arrivo in mattinata. Ad attenderci alla "rodoviaria" (le grandi stazioni per pulman) c'erano Van Der Lei, responsabile dell'Operazione Mato Grosso in quelle zone, e il suo pulmino da 25 posti. In un'altra mezz'ora arriviamo a Santa Clara, una "aldeia" (villaggio) degli indios Xavantes. Gli Xavantes sono il gruppo indios più grande rimasto, con circa 15000 individui.
Ma prima di arrivare al villaggio non dimentichiamoci della "frontiera": un indios in bicicletta con un machete appeso alla cintola. Per fortuna non mi ha timbrato il passaporto.
Questa aldeia conta circa 200 persone, tra cui tantissimi bambini, quasi 80. Imparo che un villaggio è sempre diviso in due clan e che i matrimoni sono obbligatoriamente misti tra essi.
Inoltre, sempre i matrimoni, vengono decisi dai genitori quando i figli futuri sposi sono ancora piccoli.
Il villaggio è formato da diverse capanne di forma circolare, una scuola, una cappella e alcuni edifici comuni che vengono utilizzati in caso di feste o ricorrenze particolari. Al centro c'è un grosso spiazzo vuoto, la "piazza".
Il pomeriggio lo passiamo visitando un'altra aldeia vicina, molto simile. Facciamo il giro delle capanne e conosciamo un po' di persone. Ascolto attentamente la loro lingua, affascinante. Suoni che mi ricordano i nativi d'america nel film "Balla coi Lupi", e io sono Kevin Costner che si rende ridicolo usando strani gesti per comunicare.
Torniamo a Santa Clara, il sole tramonta, e ci dirigiamo verso il centro del villaggio. Come tutte le sere gli uomini si radunano nella piazza per parlare, mentre le donne devono rimanere in casa. Si parla di tutto, e se ci sono decisioni da prendere si discute: partecipa anche il capo villaggio, ma è tutto il consiglio che decide. Molti si portano una sedia, un salviettone, la pipa. E' un momento di relax. Toglie un po' di magia ma per dovere di cronaca va detto: è una sinfonia di sputi.
A "riunione" in corso veniamo presentati io e Fabio (la Silvia è dovuta rimanere nella capanna). Il mi nome suscita grande ilarità e ognuno dei partecipanti lo storpia a suo modo. La prossima volta dirò di chiamarmi Mario.
Poi succede una cosa strana. Uno degli anziani saggi mi chiama e mi chiede chi è il mio capo in Italia. Non gli so rispondere e gli chiedo perché vuole saperlo. Lui dice che parlerà con il mio capo per convincerlo a farmi tornare in Brasile nei prossimi anni. A quel punto, seppur pieno di altri interrogativi, non ho dubbi. Il vecchio deve parlare con la Giulia. Auguri vivissimi.
A fine giornata, dopo la cena, ci raccontano che, mentre eravamo nell'altro villaggio, un ragazzo facendo il bagno nel fiume ha trovato un cucciolo di anaconda. Un cucciolo di 2 metri. E ovviamente l'ha ucciso. L'ha ucciso anche perché da queste parti raccontano una storia. Una volta un uomo si è imbattuto in un cucciolo di Anaconda, lo ha affrontato ma senza ucciderlo e poi se n'è andato per la sua strada. Il cucciolo, ferito, è guarito e cresciuto, diventando lungo 12 metri. E per diversi anni ha aspettato in quello stesso punto l'uomo. Qualche anno dopo lo stesso uomo è veramente ripassato di lì. E l'anaconda ha fatto la pappa.
Una volta controllato che in camera non ci fossero troppe tarantole, tutti a nanna.

Giorno 2 - Sabato

A colazione proviamo il miele di canna da zucchero, il "Melado". Poi lo stesso anziano della sera prima mi saluta e mi fa un braccialetto. Ce l'hanno tutti gli uomini del villaggio, anche se molti lo portano solo nelle occasioni speciali. E' un simbolo di amicizia e di appartenenza, ma può mostrare anche se sei sposato (è più stretto) o se sei una persona importante (è più spesso).
Facciamo alcune attività con i bambini, una mandria di cui la Silvia si impossessa velocemente, e tutti a pendere dalle sue labbra. Ci da una mano anche Meissias, un ragazzo Xavante di 19 anni. Pettinatura tipica (caschetto di capelli nerissimi lasciati lunghi dietro la testa) e fisico tipico (basso, ma con le spalle larghe e un tronco muscoloso, segno che la selezione naturale e i 300 anni di schiavitù hanno funzionato a meraviglia). Ci sarebbe da mettere su una scuola di rugby. E invece ovviamente esiste un campionato di calcio Xavante.
Con i bambini, prima della merenda, bagno in fiume, con gli occhi aperti vista la storiella di ieri sera.
Manca ancora un'ora al pranzo e allora facciamo il giro del villaggio con Van Der Lei, che parla bene la loro lingua.
Sembra che le foto disturbino un po', e soprattutto non mi trovo a mio agio a farne stando lì così poco tempo, senza prima poter conoscere adeguatamente le persone. E così la mia reflex se ne sta a cuccia. Sigh.
Conosciamo la signora più anziana del villaggio:107 anni. E una scena particolare, a cui qualche anno fa non avremmo assistito. La signora è a letto, non è in formissima, e così, cosa abbastanza rara, entriamo nella capanna. Mentre ci presentiamo arrivano un po' tutti i presenti. Tutti tranne uno, di spalle, che non si volta nemmeno. E' seduto per terra, concentratissimo, occhi fissi, indifferente al mondo intorno a lui. Sta guardando Kung Fu Panda, un cartone animato della Disney, sulla televisione.
Da qualche anno è arrivata l'elettricità all'aldeia, e con essa le televisioni. Capanne semplici, a volte verrebbe da dire misere, con magari letti di paglia, ma con la televisione. E mi vengono in mente, su tutti, Pier Paolo Pasolini e Dylan Dog. Me li immagino inveire contro la scatola magica. Che grandi.
L'uomo più anziano del villaggio di anni ne ha "solo" 93, è in carrozzella dopo un ictus ma con la testa è più in forma di me.
Pranzo, saluti e spostamento a Novo Sao Joaquem, che però non è una aldieia ma un paesino. Fine dell'immersione nel mondo indios.
Un mondo incredibile, non valutabile con i nostri parametri, antico ma non arretrato. Che sta correndo un grande rischio, perché l'altro mondo, il nostro, gli sta arrivando in faccia con una violenza a cui non sono preparati. Si trovano in bilico tra una chiusura che significherebbe inesorabilmente spegnersi e un'apertura che rischia di cancellare la loro identità.

Mato Grosso - Fine della prima puntata

Adesso carosello e tutti nanna.

"Non è vero che tutto fa brodo! E' Lombardi il vero buon brodo!"

Si lo so, sono anziano dentro.

giovedì 14 novembre 2013

Volare

Sovvertendo il pronostico la Fiat Mille modello brasiliano di Corrado è riuscita a portarci a Brasilia. Sono solo poco più di 200 i Km che separano Goiania da Brasilia, ma una vera e propria autostrada non esiste o comunque è piena di buche, dossi e saliscendi. Morale, velocità media intorno ai 70 km/h. E poi il traffico, che avvicinandosi alla capitale brasiliana aumenta fino a diventare quasi blocco totale.
Eh si che non era così che doveva andare.
Brasilia era stata pensata per essere una delle città più vivibili al mondo. Pensata e progettata a tavolino e costruita in tempo di record, dal 1956 al 1960, quando divenne ufficialmente capitale del Brasile.
Nei fatti si sta rivelando molto lontana da quella città a misura d'uomo che doveva essere. Il progetto iniziale è chiamato "plano piloto", e visto dall'alto ricorda la forma di un aereo. Nella fusoliera si trovano tutti gli edifici governativi, mentre nelle ali ci sono i condomini, la zona alberghiera, la zona ospedaliera e altre. Tutto è diviso in zone. Alla fine della fusoliera vi è un lago, enorme ma artificiale. Le case, spesso delle vere e proprie ville, che danno sul lago appartengono ovviamente ai più ricchi, soprattutto politici e ambasciatori.
E' una città strana Brasilia e un mondo a sé. Brasilia non è Brasile. Si tratta di una immensa macchina amministrativa, creata dal nulla e ancora incapace di possedere una propria identità.
Forse l'unica cosa in comune tra la capitale e il proprio paese è la presenza di contraddizioni.
Un esempio sono i mezzi pubblici. Ci si aspetterebbe che in una città moderna, nata prima sulla carta che sulla terra, i mezzi pubblici siano impeccabili. E invece sono pessimi, addirittura non è stata pensata una metropolitana, che sarebbe perfetta data la pianta a croce della città. Con due linee di metro si coprirebbe tutta la città rapidamente. Ma niente, si è costretti a prendere la macchina e a perdersi nelle mille strade che non portano mai dalla parte giusta.
E poi è tutto gigante. Avevano spazio e hanno pensato di usarlo tutto.
Andate a vedere Brasilia, e perdetevi anche voi nel cemento. A Niemeyer e a Le Corbusier piaceva così.

Finalmente ho beccato il geco. Entro in stanza, accendo la luce e lui stava là, in mezzo alla parete bianca di fronte a me. E a differenza dei nostri precedenti incontri era lontano da nascondigli comodi. Ma un mio movimento troppo brusco l'avrebbe comunque fatto precipitare verso la finestra o sotto il letto. Così è iniziato il duello. Nel profondo della mia mente è partito il carillon di "Per qualche dollaro in più". Avete presente? Il film è di Sergio Leone e la colonna sonora è di Ennio Morricone. E' la scena finale del film, Gian Maria Volonté contro Lee Van Cleef, con Clint Eastwood che in questo duello ricopre il ruolo del giudice, senza quasi intervenire. E allora con questa musica di sottofondo la mia mano scivola leggera verso la mensola dove tengo la macchina fotografica, con gli occhi del geco che seguono il mio movimento. Presa. Ma è senza scheda di memoria, ancora nel pc, appoggiato sul letto e troppo vicino all'avversario. Maledizione. Scheda di riserva, cassetto basso dell'armadio dietro di me. Con movenze decise ma tranquille e precisione chirurgica sfilo la scheda dalla custodia con la mano destra mentre la sinistra regge la macchina e apre lo sportellino, infilo rapidamente la scheda e spingo con il pollice destro mentre l'indice della stessa mano accende la macchina, la sinistra stringe l'obiettivo pronta a zoomare, il mignolo destro chiude lo sportellino della scheda e l'indice si sposta sul tasto dell'otturatore, metto a fuoco e...........ZAK! PRESO IL MALEDETTO! AHAH!
Il concorso fotografico National Geographic mi aspetta. Figurati se qualcuno aveva già fotografato un geco.

Ho scoperto una cosa: per dire che qualcosa è "tarocco" in Brasile dicono che è Paraguaiano, dove tutto costa meno (e spesso è effettivamente contraffatto), al punto che per acquistare alcuni beni si recano fino in Paraguay. A questo punto devo assolutamente vedere il Paraguay.

Forse sarebbe meglio se Goiania non avesse un aeroporto. E poi proprio nella direzione di Jardim das Oliveiras. Diverse volte al giorno le persone che abitano qui sentono gli aerei passare sopra le loro teste.
Io, quando vedo un aereo, inizio a fantasticare. Chi ci sarà sopra? Dove staranno andando? E chissà che avventure stanno iniziando con quel viaggio in aereo.
Ma molte di quelle teste non prenderanno mai un aereo, con quello che costa. Nessun viaggio, nessuna avventura. Solo una quotidianità fatta di sacrifici, di piccoli sogni che qui a Jardim volano bassi, molto bassi, perché in alto volano già gli aerei.

Chiudo anticipando che venerdì, sabato e domenica li passerò in Mato Grosso, in una "aldeia" degli indios Xavantes. Poi vi racconterò.

lunedì 11 novembre 2013

Havaianas

Non esistono gli scaldabagni da queste parti. Per avere l'acqua calda nella doccia, chi se lo può permettere ha un apparecchio situato appena prima del doccino che è collegato alla presa elettrica e tramite una resistenza scalda l'acqua nel momento stesso in cui passa. Questa specie di forno elettrico si trova esattamente sopra la mia testa mentre mi lavo, tipo spada di Damocle, e ha una potenza esagerata, da un minimo di 4700 W ad un massimo di 8000 W. Funziona che è una meraviglia. Peccato che gli impanti elettrici brasiliani, spiccando sicuramente per fantasia e ingegno, lascino talvolta un po' a desiderare per quanto riguarda il corretto funzionamento. Morale, mentre mi faccio la doccia sento odore di bruciato, guardo su e c'è la presa che fuma. Spengo tutto, finisco di sciacquarmi i capelli nel lavandino, mi asciugo e spiego tutto a Padre Corrado.
Io: Corrado guarda, dopo pochi minuti la presa inizia a fumare, si riesce a fare solo una doccia molto veloce.
Lui: Fantastico, bisognerebbe capire qual'è il problema e sabotare anche le altre docce di casa, così risparmio.

I reforços vanno bene, in alcuni ci sono anche alcuni bambini nuovi. Mi stupisce sempre vedere come la pioggia paralizzi tutto o quasi. Se piove forte, cosa non difficile in questa stagione, se ne stanno tutti a casa da scuola. E quindi anche dal reforço.

Oggi il senso della globalizzazione sta tutta nei miei piedi. O meglio nelle mie infradito. Le ho comprate qui uno dei primi giorni, e sono di una marca brasiliana molto nota anche in Italia, di cui ovviamente non farò il nome per motivi di par condicio (Havaianas). Prima di partire ricordo che in un noto supermercato italiano, di cui ovviamente non farò il nome per i motivi sopra citati (Coop), veniva proposta la stessa marca in offerta, dal momento che l'estate era finita, a 23 Euro. Il prezzo pieno non lo conosco, ma se il mio leggendario acume non mi tradisce devo presumere che fosse almeno di 25/30 Euro. Faccio notare che stiamo parlando di ciabatte di gomma. Qui il prezzo si aggira tra i 3,5 e i 7 Euro. Le stesse, identiche. Evidentemente il viaggio in nave gli conferisce una stagionatura unica che motiva il prezzo maggiorato. Altrimenti c'é qualcosa che non mi garba.

Giá che parliamo di piedi termino l'argomento con le "Lava Pè". Questo é il nome di un tipo di formica molto particolare. Queste formiche costruiscono il loro formicaio tra l'erba alta almeno 10 cm in modo che non si veda. Ma se per caso finisci da quelle parti te ne accorgi alla svelta e puntualmente finisci per lavarti i piedi, come suggerisce il nome. Infatti, se disturbate, le formiche si arrampicano a decine e molto rapidamente su per i fili d'erba, salgono sul piede del malcapitato e utilizzano quel simpatico pungiglione che madre natura gli ha donato. Sono un incrocio tra un ninja e un kamikaze. Per un essere umano è un po' come finire nelle ortiche. Molte ortiche. Fidatevi di uno che ha provato. Tutta colpa di Paolo.

Ah, sono stato a Brasilia, ma quella giornata merita un post tutto per sé!

Riflettendo con Fabio e la Silvia alle 2 di notte mi sono accorto che le giornate più belle sono quelle in cui riesco meglio a comunicare con i ragazzi. Soprattutto con il gruppo degli adolescenti, che sono i più complicati da capire perché iniziano ad avere un lessico abbastanza vario e completo ma allo stesso tempo usano molte "girias" (slang brasiliano) e parlano molto veloce, mangiandosi le parole.

Weekend bellissimo. Sabato mattina avevamo deciso di riposare, ma l'abitudine mi ha fatto svegliare appena prima delle 8 e così sono andato con Paolo a visitare diverse famiglie. Vi riassumo la situazione di una di queste per darvi un'idea: madre con 7 figli, il padre ha preso il largo già da tempo. La più grande, che chiameremo Dorota, è rimasta in cinta a 15 anni, forse anche 14. Al ragazzotto padre del bambino non interessa, così lo alleva da sola. Va a scuola alla sera in modo da poter lasciare il figlio alla madre che lavora tutto il giorno ma la sera è a casa. Dorota per un po' di tempo è stata con un bravo ragazzo che la amava ed era disposto ad aiutarla nonostante il bambino non fosse suo. Ma ora Dorota lo ha lasciato e frequenta un altro ragazzo che io e Paolo abbiamo conosciuto. Dire che non ci ha fatto una buona impressione è il minimo. Gli altri 6 fratelli di Dorota coprono un po' tutte le età più basse. Una di queste è davvero sveglia, le ho fatto usare la mia macchina fotografica due minuti e ovviamente ha fatto delle foto migliori delle mie.
Sabato pomeriggio altra visita con anche Fabio, un salto al campo da calcio dove la squadra della parrocchia le stava prendendo di santa ragione, un giro al supermercato per pagare alcuni conti e poi Praça Creativa, la piazza principale del paese. Qui lo stato ha costruito alcune strutte pubbliche molto belle, e ne sta costruendo ancora. Soprattutto in certe ore la piazza è molto viva, con ragazzi che ballano la break dance, fanno skate, fanno il bagno in una fontana misteriosamente clorata, o semplicemente si sdraiano sull'erba. Dopo tutto questo finalmente le 19. Finalmente orario aperitivo. L'aperitivo è un concetto che manca da queste parti. Ma datemi tempo e vedrete. Intanto Paolo erano 6 anni che non ne faceva uno e si è scolato un "litrao" di birra.
Domenica invece mercatino "classe A" (di prima classe, ovvero da ricchi) a Goiania al mattino, pranzo domenicale a casa di Paolo e della Leide e gara di motocross al pomeriggio. Ma ahimè, la scritta "Rinaldi" che appariva ovunque non si riferiva all'ex campione del mondo ora team manager di Parma ma a una ditta brasiliana di pneumatici. Speravo di fare una bella rimpatriata ma nada. Con la Meri che dall'Italia mi risponde: guarda, non credo proprio si tratti di mio padre (Rinaldi) perché lo vedo in questo momento in giardino che scava con la sua ruspa. Tutto normale a casa Rinaldi.

E infine, questa "espertinha" (furbetta) qui sotto è Vitoria, 7 anni, che frequenta il reforço di Nova Morada. Fidatevi, farà della strada.



lunedì 4 novembre 2013

Il calcio è una cosa seria

Esattamente oggi è un mese che sono in Brasile. Mi stupisce che la notizia non sia passata sui notiziari.

Qui le giornate si allungano, l'estate avanza e si porta con se la stagione delle piogge. Ecco, non so voi, ma "piogge" è una di quelle parole che io preferisco controllare come si scrive. Ah ottimo, senza "i". Dicevo, stagione delle piogge: piove praticamente tutti i giorni. Però poco, raramente più di un'ora, a volte appena dieci minuti, e prima e dopo il sole splende felice. Morale: se volete vedere la vera stagione delle piogge fatevi Marzo a Parma, qui in Brasile è una pacchia.

I bigode (baffi) sono stati accolti con sostanziale indifferenza dalla popolazione locale. Tuttavia diversi bambini mi hanno accusato di avere dei baffi finti e hanno preteso di controllarne la veridicità. Non è stato piacevole.

I ritmi di lavoro iniziano a essermi famigliari. Il lunedì mattina, tutto mercoledì, tutto giovedì e venerdì mattina siamo impegnati con i reforcos con ragazzi dai 6 ai 12 anni circa. Si tratta di un doposcuola con i ragazzi che fanno più fatica o che hanno una situazione famigliare più problematica.
Ogni giorno un reforco diverso in un quartiere diverso, con tante facce che un po' alla volta riesco a abbinare al nome giusto. Ma i bambini sono gentili e se sbaglio nome fanno finta di niente.

Il martedì mattina andiamo con Paolo a visitare le famiglie che fanno parte del progetto di Caritas Children Onlus. I pomeriggi in cui non abbiamo i reforcos ci incontriamo con il gruppo dei ragazzi più grandi, il famigerato "Grupo dos educadores". Con loro stiamo portando avanti un'idea della Silvia, anche detta Duracell, di creare uno spettacolo teatrale.

Non dimentichiamo, il giovedì pomeriggio, la lezione di chitarra, a cui partecipo anche io. Ho imparato la scala di Do. Non sento gli applausi.

Ma ora veniamo alle cose importanti: ieri sono andato allo stadio. Goias contro Botafogo, quinta contro seconda. Noi eravamo in mezzo ai tifosi del Botafogo, squadra favorita. Ma dopo 90 minuti senza troppe emozioni, in pieno recupero, gol del Goias che conquista così la vittoria. I tifosi del Goias festeggiano, quelli del Botafogo si ammutoliscono e tutti si torna a casa. Nessun problema di ordine pubblico, nessun disordine. Almeno in apparenza.
In realtà qualcosa è successo.
La nostra compagnia era di otto persone: io, Fabio, la Silvia, Luca e quattro brasiliani. Joao, 50 anni circa, grande tifoso del Botafogo, è colui che ci ha invitato alla partita e che ci ha procurato i biglietti. Romualdo, 25 anni, figlio di una educatrice che conosciamo bene, tifoso molto tranquillo del Goias, lo abbiamo invitato noi perché avevamo un biglietto in più.
Romualdo e Joao si conoscono già molto bene e sono ottimi amici.
Per tutta la partita, in mezzo ai tifosi del Botafogo, Romualdo segue la partita in silenzio, scambiando solo ogni tanto due parole con me. Quando il suo Goias segna non esulta, si limita a sorridere in mezzo a una folla di delusi. E quando quasi tutti se ne sono andati sorride anche verso Joao dicendo "grazie Botafogo per questi 3 punti che ci hai regalato". Nulla di esagerato. Ma da quel momento Joao non gli parla più.
Il Brasile è allegria pura. Ma il calcio è una cosa seria.

Per la serie "Brasile e natura" quella qui sotto è una farfalla con un'apertura alare di 25 cm. Quando vola fa aria.